È possibile immaginare un mondo senza plastica? Probabilmente no, vista anche la situazione in cui si trovano i nostri mari. Secondo il settimanale The Economist, solo il 20% dei 6,3 miliardi di tonnellate di plastica prodotta nel mondo dagli anni Cinquanta è stato riciclato. Questo significa che l’80%, ovvero ben 5 miliardi di tonnellate, si trova in discariche o nell’ambiente, diventando rischiosa per la salute di esseri umani e animali.
Cosa sono le microplastiche?
*microplastica
/mi·cro·pla·sti·ca/
sostantivo femminile
Particella di plastica, prodotta direttamente o indirettamente dall’uomo e dispersa nell’ambiente, che è causa di inquinamento e può provocare pericolose ricadute sulla catena alimentare animale e umana. Le dimensioni sono state convenzionalmente fissate dalla European food safety authority tra 0,1 e 5000 micrometri (5 millimetri).
Le microplastiche, quei minuscoli frammenti di plastica con un diametro inferiore ai 5 mm, sono molto difficili da smaltire. Costituendo il 90% della plastica nei mari, con le correnti assumono la forma di una zuppa torbida.
Il primo a individuare il problema nel 1997 fu l’oceanografo americano Charles Moore, che ne parlò nel suo libro Plastic Ocean. Tornando a casa in barca dopo una regata, nell’Oceano Pacifico si imbatte in un’enorme zona completamente coperta di rifiuti di plastica. Si parla di una superficie più grande di Francia, Germania e Spagna messe insieme ricoperta dal cosiddetto “vortice del Nord Pacifico” che contiene 79.000 tonnellate di microplastiche. Altri accumuli notevoli di rifiuti marini si trovano nell’Atlantico, nell’Oceano Indiano e nel Mare del Nord.
Il problema si è aggravato con le microsfere di plastica usate in prodotti per l’igiene personale, e quindi saponi, dentifrici, esfolianti: attraverso gli scarichi arrivano nei fiumi e nei mari, dove vengono consumate da pesci e altri animali.

Un grave pericolo per gli animali
Alcuni oggetti di plastica sono ritenuti pericolosi per la fauna marina, tra questi troviamo i rifiuti legati alla pesca (reti e ami), sacchetti, palloni e utensili. I sacchetti, ad esempio, possono soffocare o strangolare uccelli e animali marini. Se ingeriti, possono danneggiarne l’apparato digerente o farli morire di fame ostruendo lo stomaco. Mentre gli uccelli che cercano cibo a riva rischiano di rimanere intrappolati nei rifiuti.
Secondo Greenpeace, hanno mangiato plastica 9 uccelli marini su 10, 1 tartaruga marina su 3 e più di metà delle balene e dei delfini. Hanno ingerito plastica perfino i crostacei che vivono nella fossa delle Marianne del Pacifico, il punto più profondo degli oceani.

Non esistono formule magiche, ma è necessario rimboccarsi le maniche e consumare meno plastica, facendo poi attenzione alla raccolta differenziata e a non gettare rifiuti nell’ambiente.
Dalla tecnologia arriva un valido aiuto: uno strumento per monitorare la situazione dei fondali dei mari. Si chiama Scubadvisor ed è la prima app al mondo grazie alla quale è possibile segnalare la presenza di rifiuti in fondo a mari e oceani. L’applicazione è nata in Italia e si rivolge a tutti i subacquei professionisti e agli appassionati di immersioni che potranno inviare le segnalazioni allegando foto con eventuale descrizione del sito marino danneggiato. Al progetto ha aderito anche l’associazione Marevivo Onlus, che da decenni si occupa di tutela dei mari e di contrasto alla pesca illegale.
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