“Perciò toglietevi dalla testa città abbandonate, viaggi esotici e scavi in giro per il mondo. Noi non seguiamo mappe di tesori nascosti e la X non indica mai il punto dove scavare”
Cit. Indiana Jones e l’ultima crociata (1989)–
Lo ammetto, la prima volta che ho visto Harrison Ford vestire con grande fascino e ironia i panni di Indiana Jones, il temerario archeologo sempre pronto a rischiare la vita per scoprire antichi tesori su pericolanti ponti tibetani, dovevo avere sì e no nove anni, il mio ancora latente amore per il passato dell’umanità è divampato in maniera incontenibile!
È in effetti solo uno dei danni al senso critico causatomi dal gusto per l’esagerazione dei famigerati anni Ottanta, ma credo di poter comunque incolpare il genio del regista, Steven Spielberg, per la scelta degli studi universitari. L’inimitabile capacità di suscitare emozione usando il brivido intrinseco della scoperta, l’abilità nel mescolare realismo e mito, hanno reso il suo personaggio, il professor Indiana Jones, detto Indy, l’archeologo avventuriero per eccellenza.
Al primo scavo senza frusta e cappello in pelle, tuttavia, avevo già da tempo compreso che le imprese di Indiana Jones erano piuttosto lontane da rappresentare la realtà di uno scavo archeologico. Non fraintendetemi, l’avventura, il mistero, l’imponderabile la fanno comunque da padrone ad ogni strato rimosso, ad ogni coccio rinvenuto. Il mestiere dell’archeologo è un mestiere affascinante di per sé, perché sa mescolare perfettamente ricerca storica e tecnologia scientifica all’avanguardia, una ricetta di sicura riuscita!
Ma in cosa consiste effettivamente il lavoro di un archeologo oggi?
Di tanto, tanto studio innanzitutto. Mettendo solo per un attimo da parte l’incursione in templi maledetti, l’archeologia è per definizione un metodo di ricerca storica, che ha come obiettivo la ricostruzione del passato di antiche civiltà tramite il recupero e lo studio delle tracce che l’uomo ha lasciato nel corso dei millenni. A seconda del periodo storico a cui un archeologo deciderà di dedicarsi, studierà materie diverse, scelta che lo porterà a scavare in Italia, in Grecia, in Egitto, in America del Sud o su qualunque superficie del globo terrestre raggiunta dai nostri antenati.
Il mezzo per il recupero delle tracce è lo scavo archeologico, che ai nostri giorni è di tipo stratigrafico.
*stratigrafia
/stra·ti·gra·fia/
sostantivo femminile
Parte della geologia che attraverso lo studio delle rocce sedimentarie, per lo più stratificate, intende ricostruire la storia geologica della Terra.
La stratigrafia ci insegna (a grandi linee) che gli strati più profondi sono quelli più antichi: per questo si scava dall’alto, rimuovendo uno strato alla volta, e la distinzione dei diversi strati che contengono i materiali ritrovati ha una grande importanza, permette infatti di stabilire una cronologia, basata proprio sulla successione degli strati.
Ciò che l’archeologo ritrova uno strato dopo l’altro, si chiama reperto, (dal lat. repertum, ciò che è stato trovato part. pass. neutro di reperire «trovare») e sta all’archeologo porsi le giuste domande per ricostruirne la storia.
Anche nel caso degli scavi di emergenza, ossia di quegli interventi non previsti, ma fatti per recuperare reperti rinvenuti in seguito a lavori di costruzione di metropolitane, o danni a fognature, per fare degli esempi, lo scavo archeologico è sempre un evento programmato. Questo perché scavare è un’azione irreversibile (non per l’archeologo, lui spesso sopravvive e rinviene con una birra fresca). Le informazioni contenute in uno strato, se non puntualmente documentate con fotografie, rilievi, e apposite schede, rischiano di andare irrimediabilmente perse. In una campagna di scavo l’attenzione deve essere costante e la precisione la fa da padrone.
Ma l’archeologo come sceglie il luogo in cui scavare?
Come insegna Indiana Jones nel titolo, l’area di scavo non è purtroppo indicata da grosse X disegnate sul terreno e non esistono mappe preconfezionate con le coordinate del tesoro (ma mai dire mai!).
Certo è che l’archeologo deve conoscere con attenzione le fonti: scritte, cioè opere di autori antichi diari, iscrizioni, epigrafi, o iconografiche (iconografìa s. f. [dal gr. εἰκονογραϕία «rappresentazione figurata» comp. di εἰκών -όνος «immagine» e -γραϕία «-grafia ) come mosaici, pitture, incisioni rupestri, più difficilmente dipinti.
Deve sapersi muovere con agilità nella selva degli archivi privati e pubblici e leggere la cartografia storica, le mappe.
*epigrafe
/e·pi·gra·fe/
sostantivo femminile
Breve iscrizione incisa o scolpita su tombe o altri monumenti per commemorare o celebrare persone o avvenimenti.
Ma tutto ciò non basta!
Per individuare un luogo che possa essere oggetto di scavo, la conoscenza d’archivio non è sufficiente, devono essere messi in campo metodi di indagine scientifica che hanno il vantaggio di riuscire a evidenziare cosa nasconde il terreno senza scavare.
Indagini preliminari che sono molto meno invasive e irreversibili di uno scavo. Una fra tutte la survey o ricognizione di superficie.
La ricognizione è un’osservazione puntuale fatta a piedi e si basa sul concetto che, se c’è qualcosa sotto, si può evincere o può affiorare sulla superficie, ma bisogna avere un occhio allenato e saper interpretare i dati. Il variare del colore della vegetazione, ad esempio, può indicare la presenza delle fondamenta di un edificio.
A seconda delle necessità e soprattutto delle risorse economiche, tra le indagini maggiormente utilizzate si ricordano la fotografia aerea, utile per completare e verificare le informazioni ottenute con la survey, le sonde nel sottosuolo, i carotaggi, e chi più ne ha sicuramente ne metterà. Una volta individuata e mappata l’area su cui intervenire si procede con l’attività di scavo vera e propria. Lo strato varia in base alla consistenza, al colore, alla granulometria (cioè il tipo e alla dimensione delle particelle che lo compongono), insomma in base a come è fatto il terreno e da cosa c’è dentro.
Lo scavo avviene con strumenti estremamente delicati come la trowel, (si pronuncia traul) una sorta di cazzuola, fatta da un pezzo unico di acciaio in modo che non si spezzi, oppure con strumenti più “brutali”, dal malepeggio, un picccone, alla pala. La terra che viene eliminata viene setacciata con cura per non perdere neppure piccoli frammenti. I reperti recuperati invece vengono riposti dentro sacchetti di plastica, che poi a loro volta verranno inseriti in cassette, identificati dal numero corrispondente all’unità stratigrafica (cioè la singola porzione di terreno individuata nello strato) in cui sono stati trovati pronti per essere studiati in laboratorio.
Ma il lavoro non finisce qua, le scoperte devono essere comunicate al maggior pubblico possibile e i reperti dopo un attento restauro,verranno conservati ed esposti in museo per essere fruibili, cioè visti e consultati da studiosi, curiosi, o semplici visitatori.
Ma a chi appartiene il passato?
Abbiamo detto che la missione principale dell’archeologo è quella di ricostruire il passato tramite il recupero e lo studio delle tracce che l’uomo ha lasciato nel corso dei millenni, ma perché il passato ci interessa così tanto?
Perchè il passato appartiene a tutti noi ed è la chiave per comprendere chi siamo stati , chi siamo diventati e chi potremmo essere nel nostro futuro per il nostro Pianeta. L’archeologo ha una grande responsabilità e ogni sua scoperta è un immenso dono per l’umanità.
Archeoletture
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